domenica 21 dicembre 2008

Attrattiva del Nulla


Morte
fuga perfetta
idea del nulla

Quando le gabbie costringono
la vita mi va stretta
lacera le stoffe
di un animo logoro

Portami via
Morte,
Viaggio assoluto e Nulla
e fammi sparire in un buco
un imbuto notturno di spazio
una piega oscura di questo universo

nascosta al mio Io

Saturo
di Vita, Dolori gioie esperienze
Attese che non hanno mai fine
e sono
le cifre assolute
di un Essere che è Stato.

sabato 15 novembre 2008

Bocca


Bocca.
riémpiti all'orlo
di baci al tabacco,
passione alla pioggia
parole al lampone
e
svuotati tutta.
di noia,
dolore e digiuni
di lacrime, astio e secchezza
e fatti
caverna
anfratto di muschio selvaggio
coperta di aghi di pino
rugiada di umida notte
e
cuore pulsante
che sa come fare
che sa cosa dire
che
notti leggere, meriggi e mattine
ti sa colorare.

giovedì 30 ottobre 2008

Splatter


La giornata si preannunciava insidiosa, pigra e arrotolata nel suo mattino di latte e caffè...quando d’improvviso un dubbio colse la ragazza: forse...la donna delle pulizie era schiattata??!!!

Il pensiero la colpì come una tonnellata di detriti del precambriano sciorinati sullo stomaco.

Senza perdere un secondo di più, si precipitò fuori della stanza, sbattendo la porta con violenza, corse verso le scale, saltando sulla rampa senza neppure guardare il primo scalino...il tallone mancò l’attrito con lo spigolo ed il suo culo ossuto si ritrovò a cozzare contro i 90 gradi ad angolo vivo del marmo...cazzo! Un rumore di spina dorsale stridente entro la sua pelle fece rabbrividire tutto l’edificio.

Eeeeeehhhhhhhhhcccccckkkkk fece il tessuto osseo

Poi..Tud Tud Tud....il laconico e ripetuto ritornello dell’osso sacro tamburellante contro i contigui 25 gradini dell’intera rampa...

Merde! esclamò in un francese talmente perfetto da fare invidia a Catherine (Deneuve n.d.s.).

Giunta alla fine della corsa, facendo leva sul palmo di una pano posata sulla superficie marmorea e fredda, si preparava a raccogliere il suo mucchietto d’ossa mezzo rotte quando...

l’ombra minacciosa del magazziniere apparve in cima alle scale...era di spalle e trascinava un grosso pallett su rotelle.

Fece appena in tempo a sussurrare in un fil di voce strozzato un flebile, no! prima d’accorgersi, ormai troppo tardi, che la presa della leva del carrello gli sfuggiva di mano.

Con uno schianto infernale il grosso carico di motori e azionamenti prese la china delle scale, piombando con un tonfo orrendo sul corpo della ragazza e sfracellandone le volatili ossa.

La carne venne tagliata in piu punti e il sangue schizzò dappertutto, lordando irreparabilmente il muro bianco.



Piu tardi un capannello di persone si radunò attorno al cadavere, le punte delle scarpe che evitavano accuratamente le macchie di materia cerebrale sparsa sul pavimento.

"Peccato", disse qualcuno. "L’avevano ritinteggiato appena due giorni fa, il muro".

Autumn leaves

Questa è per chi non si accontenta dell’azione, ma vive di intensi momenti solipsistici, epifanie improvvise che gli rivelano una parte di realtà fino ad allora ignota, chi è in grado di capire e filtrare tutto attraverso l’anima. La strada, l’asfalto, la sottile bruma che evapora dai bordi selvatici della via, il sole che rifrange la nebbiolina azzurra al mattino, l’arancione del pallido sole d’inverno che albeggia. Questa è per i descrittivi, gli amanti dell’estetica e del bello, per l’artista che rincorre un’armonia, per l’artista che si nutre di folgorazioni improvvise che non torneranno mai più, per chi cerca, ricerca, viviseziona l’armatura più profonda della metafisica, ciò che mai potremo conoscere col cervello, o i sensi, ciò che aneliamo che ci venga svelato. Questa è per la mattina, quando guido in macchina e quel sole arancione, mi ferisce gli occhi, "mi fere ’l sol di tra’ lontani monti", e quel bozzolo della mia auto diventa tutta la mia vita, tutto il mio momento, prima di cominciare la giornata, e ascolto John Coltrane e il suo sax è carezzevole, morbido, come una colata d’olio caldo sulla schiena, come brividi e massaggi sul mio corpo, e l’istante è perfetto, da incorniciare, le note, le onde sonore, perfettamente in sincrono con le mie onde alfa o quel che sia, e l’anima si gode una perfezione musicale, visiva, auditiva, percettiva, cinestesica, spirituale che non vorrei abbandonare mai. E questa è per John Coltrane che mi ha dipinto quelle note, per Jacques Prevert che mi ha scritto quelle parole mute, per Miles Davis che spezza con la potenza acida della sua tromba, ma calda, ma stridente, incandescente, quel connubio di note spinte all’ennesima perfezione, all’ennesima magia. Questa è per me quando guido la macchina al mattino, sulla tangenziale, guardo il sole, osservo le brume, scorgo una magia che aleggia su tutto, anche se il paesaggio è ostile, e mi dico: che bello, dopotutto, vivere.

Il grande scrittore


Dovette andare dal dottore. Era costantemente affetto da quella malattia dello scrittore, che lo faceva cagare parole di continuo, egli se ne scusava coi suoi lettori, ma era più forte di lui, la logorrea delle parole belle gli aveva logorato budella e cervella.

E cosi dal medico in sala d’attesa, tristemente depresso dal suo destino, mentre gli altri sfogliavano il giornale spiando di sottecchi e qualcuno sbadigliava, venne chiamato dentro da un "Avanti!" di ottocentesca memoria.

- Dottore è grave? Supplicò, quando fu davanti al medico magrissimo ed emaciato, con un camice bianco e due grosse palle al posto degli occhi contornati da occhiali quadrati e marroni.

- Ehhh...bè...diciamo...- Rispose enigmatico il medico

Scribacchiò due segni incomprensibili sul taccuino a mo’ di geroglifico sibilando dal naso.

- Mi prenda due Logorron in compresse al mattino e alla sera, possibilmente dopo i pasti e - continuò vergando la carta colla stilografica di cinquant’anni fa - cerchi di riposare! Il più possibile mi raccomando! Che la vedo sciupatissimo, mi si sta logorando completamente, a causa della Logorrea!

- E che posso fare dottore, quando la Logorrea mi attacca in pubblico? - chiese affranto il povero scrittore?

- Allora, per gli attacchi di Logorrea, mi prende alla bisogna, dieci, quindici gocce, a seconda del sintomo, di Logorin Gocce R.P. a rilascio prolungato. E mi raccomando, cerchi di dormire, il più possibile, ha capito? - sibilò ancora il medico, sgridandolo.

Lo scrittore era più depresso che mai, le sopracciglia folte gli stavano ormai disegnando due parentesi graffe oblique che gli ricoprivano interamente gli occhi e la bocca era talmente piegata all’ingiù che oramai aveva assunto la forma di una grossa V al contrario.

- Dottore, ma se gli attacchi si ripetono? Se si ripetono in pubblico, che faccio? Voglio dire...dottore, lei mi capirà...ma un conto è quando mi prende l’attacco mentre sono li alla scrivania e in qualche modo riesco a trasferirlo in prosa...ma dottore, se mi prende mentre sono in pubblico? o durante una conferenza? o, peggio, la presentazione del mio libro? - Lo scrittore assunse un’aria veramente piagata, da malato terminale di lebbra in procinto di ricevere il miracolo che non era mai che arrivava.

- Massignore mio! Le ho detto caro signor Bucchi...anzi, Carlo, si fidi del suo medico! Se le dico che con le gocce li annientiamo questi attacchi? - disse il medico incrociando le mani a mo’ di esortazione terminale - E se la pigliano in pubblico, lei se ne vada un attimo fuori, al fresco, a prendere l’aria, e, non dovrei dirglielo, ma in questi casi, chiudiamo un’occhio, si fumi una sigaretta, beva un sorso d’acqua colle gocce e vedrà, vedrà caro Bucchi!

Era finita la visita. Pagò sull’unghia i 150 euro di onorario e se ne andò con spalle cascanti e passo trascinato e la ricetta in mano.

Al 15 del mese aveva la presentazione del libro. Gli attacchi non s’erano più verificati e lui era tranquillo, anzi, se n’era proprio dimenticato, preso com’era dall’eccitazione della sua nuova opera. Giulia, la moglie, si stava mettendo gli orecchini prima d’uscire. Lo scrittore la prese sottobraccio pieno d’entusiasmo.

- Andiamo cara Giulietta, andiamo. Ché stasera me lo sento, sarà un successone! - rise lo scrittore sbaciucchiandola alla guancia.

Dopo la presentazione, ch’era andata proprio come lo scrittore s’aspettava - tutti erano stati entusiasti e prodighi di complimenti - si spostarono nella grossa sala illuminata a giorno per il cocktail e i brindisi di congratulazioni. C’erano proprio tutti, il sindaco, l’editore capo, i colleghi, i giornalisti, gli amici...

L’editore tintinnò col coltello sul calice di cristallo del prosecco, si fece un silenzio tombale rotto da qualche brusio, reverente e quasi sacrale.

Le luci accese, la folla a bocca chiusa, gli occhietti di tutti puntati su di lui, l’editore che incensava l’opera del grande scrittore vivente Carlo Bucchi, colla voce stentorea: allo scrittore salì il panico fin sulla gola, bianco come un cencio, con un rapido scatto, per non rischiare l’attacco di logorrea in pubblico, fece come gli aveva consigliato il medico: fuggì e si ritirò in bagno senza proferire parola.

Più tardi la moglie, Giulia era cosi preoccupata, che non si riuscì a calmarla neanche con un Gin e lo sventolare di fazzoletti: Carlo Bucchi s’era chiuso, a tripla mandata, dentro a quel bagno, senza voler più uscire.

- Ti prego Carlo sii ragionevole - supplicavano gli amici attraverso la porta - Carlo, dì qualcosa, non vedi che Giulietta è come un cencio? Non t’interessa niente di lei? Dì una parola, dì qualcosa!

A niente valsero le suppliche. La porta rimase muta. Carlo Bucchi non rispondeva più, sembrava fosse sparito nel nulla.

Chiamarono i vigili, chiamarono l’ambulanza. In ultimo dovettero sfondare la porta perché Carlo Bucchi, il grande scrittore, non aveva più dato segni di vita da almeno mezz’ora.

Trovarono la sala da bagno vuota, al posto del water un grosso buco nero, sembrava come se un’esplosione l’avesse fatto saltare, e con esso parte del muro e lo scrittore in persona s’erano volatilizzati.

Chiamarono il medico che l’aveva in cura, venne, fece un rapido sopralluogo, scosse la testa, in segno di ineluttabilità: è morto per un attacco fatale di Logorrea. Sentenziò.

No, Maria


Cha fai Maria, che fai buttata sul letto, il viso da madonna piangente, le mani strette al petto a contenere il pianto?

Che fai, amica fragile, col petto scosso dai singulti, ché piangi per quello lì che ti ha lasciato? No non è il caso, non devi, non piangere, Maria! che t’asciugo le lacrime io, che te l’accarezzo io quel viso con la bocca rossa imbrociata ripiegata in una smorfia di dolore.

Lui non ti capiva, non ti apprezzava, lui era un bastardo Maria, credimi, lo so io, che ti vedevo soffrire per lui, pregare per lui, avere la febbre del desiderio per lui. Lui se ne fregava di te, Maria, t’ha trattata come una bambola di pezza, non t’ha capita, non comprendeva la tua complessità. La tua mancanza di mezze misure, non la capiva, non come me Maria, io che ti capisco, io che ti leggo al volo quando il pianticello ti sta per spuntare lungo il bordo della palpebra...no no, Maria, non piangere, ecco, l’asciughiamo le lacrime, ecco il kleenex Maria, ecco, le carezze, bella schiena ancora scossa dal tremore, la maglietta sollevata sopra i tuoi jeanz stretti, stretti come i miei..

No Maria, no, t’abbraccio io, t’abbraccio...t’accarezzo io la schiena, col dito faccio un sentiero fino ai tuoi glutei Maria, io la pelle tua, la carezzo, la odoro, l’adoro, Maria...

No, Maria, non ti girare, mostrami quel bel volto, da madonna, che lo prendo tra le mani e ti ficco le pupille mie nelle tue marroni come castagne, marrone con marrone, pupilla con pupilla, sorriso mio, con sorriso tuo che spunta finalmente, come un sole d’inverno..

No, Maria, che ti bacio io la tua bocca, Maria, la prendo all’improvviso perché mi sei sempre piaciuta, e tu ti spaventi, che la tua migliore amica prenda e ti baci la bocca, ma non mi respingi, perché lo sai che mi piaci, Maria, lo sai che penso che tu sia la più bella gnocca mai vista, piccolina, formosa, pallida, capelli lisci, come i miei...no Maria...non impedirmi di bagnare la mia lingua nella tua...lo so che lo vuoi...no, Maria, no...apri quel bocciolo, che ti piace che ci baciamo come fossimo un uomo e una donna..

No, Maria, non prendermi la mano cosi, non me la stringere sui tuoi seni piccoli, sui tuoi capezzoli splendidi, no...non sollevarti la maglietta a quel modo che lo sai che effetto mi fai, Maria, quando guardo i tuoi seni, non avvicinarli cosi ai miei, non sollevare anche la mia, di maglietta, Maria, che lo sai come finisce, non ci abbracciamo cosi, senza le magliette e i reggiseni, solo coi blue jeanz, che siamo tutte rosse e accaldate, non ti stringere seno contro seno, pelle di seta contro pelle di seta...no Maria, no, non farti prendere la mano, Maria...no Maria...finisce male poi Maria, lo sai Maria...no,

Maria...no....mmm...Maria.....Maria...si....sii....si, Maria....si !

Thtiller da due soldi


Era stato brusco al telefono, quasi glaciale. La voce secca rintoccava contro il vuoto del ricevitore, le aveva assestato un: non ho tempo ora! E a lei era rimbombato il cuore dentro al petto, gli faceva male.

Aveva chiuso la telefonata. Gli faceva ancora male, il petto. Si domandava il perché di questo improvviso cambio d’umore dalla sera prima, quando lui era stato cosi tenero, quasi dolce, disponibile alle chiacchiere, loquace, con la voglia di scherzare e fare battute, e poi di persona quando si erano visti, sebbene le avesse riversato addosso di colpo tutto il suo desiderio violento, si era anche lasciato andare ad una carezza, un bacio abbozzato, mezzo sorriso, il canino giallo che s’era intravisto nei bordi delle labbra.

Un sorriso diabolico, dopotutto, pensava lei, ora.

Stamattina s’era attaccata al telefono, dapprima per fargli un po’ di feste, cosi, post coitali, in secondo luogo il telefono suonava sempre libero e nessuna risposta, e poi occupato, e poi di nuovo libero quando chiamava lei, e lui non aveva mai risposto, mai, per tutta la mattina. Messaggi che aveva mandato, ti prego rispondi!, ho bisogno di parlarti, per favore! ti prego, solo due minuti ti ruberò...!

Nulla, morto, silente, inesistente.

Alle 4 era arrivato un messaggio laconico: sono molto impegnato! Poi era riuscita a parlarci solo per un istante alle sei, sentendosi dire: NON HO TEMPO ORA!

Le fece male dentro.

Alle 22, quando ormai s’era ripromessa che basta, tra loro era finita, che non ce la faceva più a reggere quel menage cattivo, alla mercé delle voglie di lui, delle sue tempistiche, delle sue idiozie, e delle sue crudeltà, lui chiamò.

Lei non rispose.

Ti prego, sono io, devo parlarti, sto male. scrisse lui.

Di nuovo tentativi telefonici e di nuovo lei che non rispondeva, s’era ripromessa di mandare il rapporto a morire, senza dire una parola.

Ti prego, sto davvero male, è successa una cosa terribile...

Su questo messaggio si decise a richiamarlo. Fece squillare a lungo il telefono. Niente. Non rispondeva.

Ma che cavoli, sta succedendo? Lampeggiava un allarme nel suo cervello.

Il cuore le batteva a mille, temeva il peggio. Ma ora il telefono di lui era di nuovo spento.

Scrisse vari messaggi in cui lo supplicava di dirle cosa stesse succedendo.

Alle due s’addormentò esausta, con le lacrime agli occhi, non riusciva a identificare il motivo di tanta indifferenza, cosa gli rendesse impossibile sollevare quel ricevitore e spiegare cosa di tanto terribile fosse mai successo, oppure altri pensieri, ben più cupi....ospedali, pronto soccorso, bracci rotti, incidenti domestici. Non sapeva davvero a cosa pensare.

Suonò la sveglia, lei si trascinò in bagno, si spogliò e s’infilò sotto la doccia, l’acqua calda che scorreva lungo la pelle. I pensieri del giorno precedente, di quel sesso violento e dolciastro l’assalirono. Il viso di lui su di lei, come un animale che respirasse la sua stessa anima, un animale con gli occhi tristi d’un bambino, e movimenti violenti nel possederla.

Uscì dalla doccia, guardando se stessa nuda nello specchio enorme della camera da letto, i seni, il ventre arrotondato, il sesso, la sua bocca rossa. Si chiese cosa non andasse in lei, per lui. Il suo corpo era bello, bianco, armonioso e curvilineo e lei una persona civile, educata, sincera. Cosa non andava in lei per lui: un enorme mistero.

Vide 5 chiamate perse di lui, chiamò di nuovo, ma niente. Non sapeva più se ne valesse la pena, dopotutto. Negli ultimi 4 mesi lui era diventato ormai un nemico, uno che la tollerava, uno che non la cercava mai, tranne solo per fare del buon sesso. Perché lei si prestava a questo suo gioco crudele? Non lo sapeva più. L’amore tenero e sincero che aveva provato per tutti quegli anni sembrava ormai il fantasma di se stesso. Lei era come uno schiavo, imbambolato dalle frustate, assuefatta alle percosse, incapace di reagire, continuava a dare, a dare un qualcosa che le veniva spontaneamente dal cuore, senza mai ricevere anche il minimo feedback di gradimento.

Se a lui piacesse o meno sentirsi amato da lei, se le attenzioni di lei gli facessero piacere, se le carezze e le attenzioni che a letto lei gli dispensava fossero da lui gradite...pure questo era nell’oblio del mistero più profondo.

Dopo essersi vestita e aver ingurgitato un caffè al volo, mise in moto la macchina fredda, accese lo stereo, voleva riflettere, mise Coltrane. La sua auto un bozzolo caldo e musicale, di lamiera, contro la città agitata dal traffico, quasi fosse un acceleratore di particelle del CERN.

Cosa stava succedendo? D’un tratto una sensazione opprimente, bruttissima la sorprese alla gola, un velo nero scendeva sui suoi occhi, sul suo cuore. La certezza di essersi sbagliata sempre, la certezza di dover fermare quella corsa in macchina, di dover a tutti i costi sapere cosa diavolo stesse succedendo, perché, perché lui la ingannava, la cercava e poi non si faceva trovare, e perché lui s’era trasformato in un demone che turbava i sogni e la veglia.

S’accostò ad un lato della strada, in una piazzola, con le quattro frecce, i bolidi schizzavano alla sua sinistra, imperturbabili, sulla tangenziale. Compose il numero di lui....suonava libero...attese....poi la voce secca di lui.

- Ciao

- Ciao! - rispose lei - Ma allora, Piero, come stai? Cosa ti succede? Mi hai fatto preoccupare davvero stavolta. Tutto bene? Dove sei? Ti ho chiamato milioni di volte ma il tuo telefono era spento poi acceso, dio, una notte da dimenticare...ti prego dimmi!

- si - lui secco come Giuda - sto facendo delle commissioni...-

- Commissioni? Che genere di commissioni? Stai bene? Perché mi hai scritto che stavi male? sono preoccupata per te, che ha la tua salut...

- NO - la interruppe secco lui - non stavo male fisicamente -

- E allora? - chiese lei con il cuore a mille - Cosa?

- Non sono solo - affermò lui

- Con chi sei? - chiese la ragazza - dimmi almeno cosa è successo, davvero, non puoi tenermi così in sospeso, mi fai preoccupare....

- SEI IN VIVAVOCE - esclamò lui.

Dopodiché si sentì un trambusto telefonico, fili, disturbi sonori, voci soffocate e poi una insignificante voce femminile, secca e sottile

- Ciao Ingrid, sono Giovanna, sono la donna di Piero...

- La donna di Piero? in che senso? - il cuore cominciò a battere all’impazzata ormai, non si teneva più. Le gambe molli, tremavano, la sua voce era rotta dall’emozione.

- Si, sono Giovanna, io e Piero stiamo andando a vivere insieme. Anzi, viviamo insieme da una settimana ormai. Piero voleva dirti che è finita tra voi...

- C...Come? C...cosa? Piero? ci sei?

- E’ qui vicino a me Ingrid.

- Ma sei per caso incinta?

- No, non sono incinta.

- E...e quando vi siete conosciuti? Io e Piero stiamo insieme da anni...noi siamo fidanzati...lo sai? - non ci credeva più neanche lei ormai. I ruoli si erano ribaltati di colpo.

- Ora non più Ingrid, non più. Ora Piero sta con me. So che vi siete visti qualche settimana fa, mi ha detto tutto di te, ma so anche che non vi vedete più da tempo e che lui ti ha fatto capire che era finita...

- Ma come ma se...se ci siamo visti l’altro ieri...no, Piero, dille anche tu che...

- Come, come ...vi siete visti l’altro ieri? E che avete fatto? Avete fatto l’amore? Adesso mi dici esattamente cosa è successo !! - Interruppe la voce femminile ostile ed imperiosa.

- No..no...- si corresse Ingrid - volevo dire, l’altro mese...volevo dire....non ricordo. Non le importava più di niente. Il cuore se lo sentiva nero e pesante come una pietra. Le mani le tremavano, la voce, le sue gambe, le lacrime cominciavano a sbocciare sulla rima palpebrale e la gola bruciata, stava per espellere un pianto che tratteneva da troppo, troppo tempo ormai - No....- disse ancora Ingrid - io...io...devo chiudere ora....vi auguro di essere.....felici...devo....devo andare....

Chiuse la comunicazione, non vedeva niente di fronte a sé, solo un grigio vuoto, contornato da raggi gialli e acidi.

Occhi vacui, il pianto che si faceva strada, il cuore che le batteva in petto come il rullo di migliaia di tamburi.

Mise la freccia per rientrare in corsia, in tangenziale, dimenticandosi di togliere le quattro freccie.

Guardò nello specchietto retrovisore: la corsia sembrava libera, si accinse ad entrare nella corsia, prese accelerazione, guardò di nuovo nello specchietto.

Di colpo si rese conto che dalla corsia centrale stava arrivando un grosso camion a tutta velocità, che non aveva visto la freccia di direzione. Si accorse tardi che non aveva tolto le quattro frecce, il camion era diretto verso di lei, non poteva più frenare in tempo ormai. Il camionista urlò dentro il suo mezzo, schiacciò il freno con tutta la forza possibile. Ingrid diede una violentissima sterzata e perse completamente il controllo.

Le vennero in mente immagini senza significato in rapidissima successione, poi non ci fu più niente da fare.

Il camion le venne addosso con tutta la sua massa e la velocità travolse la sua piccola macchina, la carrozza del camion continuò inarrestabile la sua corsa oltre il proprio carrello, tagliando di netto tutta la parte superiore della lamiera dell’auto di Ingrid.

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Giovanna si mise davanti al televisore, guardando Piero, vestita solo di una sottilissima camiciola di seta.

- Dai qua! - disse ridendo e strappandogli dalle mani il telecomando.

Piero era sull’orlo del letto che faceva un po’ di zapping.

Sorrise anche lui, a Giovanna.

- Tesoro! - esclamò vedendola in sottoveste ed eccitandosi.

Giovanna si mise su di lui baciandolo appassionatamente. Fecero l’amore, incuranti del gracchiare del televisore che in sottofondo dava la notizia del terribile incidente mortale di quella mattina, in tangenziale, in cui una giovane donna e altri due sfortunati automobilisti avevano perso la vita.