giovedì 30 ottobre 2008

Thtiller da due soldi


Era stato brusco al telefono, quasi glaciale. La voce secca rintoccava contro il vuoto del ricevitore, le aveva assestato un: non ho tempo ora! E a lei era rimbombato il cuore dentro al petto, gli faceva male.

Aveva chiuso la telefonata. Gli faceva ancora male, il petto. Si domandava il perché di questo improvviso cambio d’umore dalla sera prima, quando lui era stato cosi tenero, quasi dolce, disponibile alle chiacchiere, loquace, con la voglia di scherzare e fare battute, e poi di persona quando si erano visti, sebbene le avesse riversato addosso di colpo tutto il suo desiderio violento, si era anche lasciato andare ad una carezza, un bacio abbozzato, mezzo sorriso, il canino giallo che s’era intravisto nei bordi delle labbra.

Un sorriso diabolico, dopotutto, pensava lei, ora.

Stamattina s’era attaccata al telefono, dapprima per fargli un po’ di feste, cosi, post coitali, in secondo luogo il telefono suonava sempre libero e nessuna risposta, e poi occupato, e poi di nuovo libero quando chiamava lei, e lui non aveva mai risposto, mai, per tutta la mattina. Messaggi che aveva mandato, ti prego rispondi!, ho bisogno di parlarti, per favore! ti prego, solo due minuti ti ruberò...!

Nulla, morto, silente, inesistente.

Alle 4 era arrivato un messaggio laconico: sono molto impegnato! Poi era riuscita a parlarci solo per un istante alle sei, sentendosi dire: NON HO TEMPO ORA!

Le fece male dentro.

Alle 22, quando ormai s’era ripromessa che basta, tra loro era finita, che non ce la faceva più a reggere quel menage cattivo, alla mercé delle voglie di lui, delle sue tempistiche, delle sue idiozie, e delle sue crudeltà, lui chiamò.

Lei non rispose.

Ti prego, sono io, devo parlarti, sto male. scrisse lui.

Di nuovo tentativi telefonici e di nuovo lei che non rispondeva, s’era ripromessa di mandare il rapporto a morire, senza dire una parola.

Ti prego, sto davvero male, è successa una cosa terribile...

Su questo messaggio si decise a richiamarlo. Fece squillare a lungo il telefono. Niente. Non rispondeva.

Ma che cavoli, sta succedendo? Lampeggiava un allarme nel suo cervello.

Il cuore le batteva a mille, temeva il peggio. Ma ora il telefono di lui era di nuovo spento.

Scrisse vari messaggi in cui lo supplicava di dirle cosa stesse succedendo.

Alle due s’addormentò esausta, con le lacrime agli occhi, non riusciva a identificare il motivo di tanta indifferenza, cosa gli rendesse impossibile sollevare quel ricevitore e spiegare cosa di tanto terribile fosse mai successo, oppure altri pensieri, ben più cupi....ospedali, pronto soccorso, bracci rotti, incidenti domestici. Non sapeva davvero a cosa pensare.

Suonò la sveglia, lei si trascinò in bagno, si spogliò e s’infilò sotto la doccia, l’acqua calda che scorreva lungo la pelle. I pensieri del giorno precedente, di quel sesso violento e dolciastro l’assalirono. Il viso di lui su di lei, come un animale che respirasse la sua stessa anima, un animale con gli occhi tristi d’un bambino, e movimenti violenti nel possederla.

Uscì dalla doccia, guardando se stessa nuda nello specchio enorme della camera da letto, i seni, il ventre arrotondato, il sesso, la sua bocca rossa. Si chiese cosa non andasse in lei, per lui. Il suo corpo era bello, bianco, armonioso e curvilineo e lei una persona civile, educata, sincera. Cosa non andava in lei per lui: un enorme mistero.

Vide 5 chiamate perse di lui, chiamò di nuovo, ma niente. Non sapeva più se ne valesse la pena, dopotutto. Negli ultimi 4 mesi lui era diventato ormai un nemico, uno che la tollerava, uno che non la cercava mai, tranne solo per fare del buon sesso. Perché lei si prestava a questo suo gioco crudele? Non lo sapeva più. L’amore tenero e sincero che aveva provato per tutti quegli anni sembrava ormai il fantasma di se stesso. Lei era come uno schiavo, imbambolato dalle frustate, assuefatta alle percosse, incapace di reagire, continuava a dare, a dare un qualcosa che le veniva spontaneamente dal cuore, senza mai ricevere anche il minimo feedback di gradimento.

Se a lui piacesse o meno sentirsi amato da lei, se le attenzioni di lei gli facessero piacere, se le carezze e le attenzioni che a letto lei gli dispensava fossero da lui gradite...pure questo era nell’oblio del mistero più profondo.

Dopo essersi vestita e aver ingurgitato un caffè al volo, mise in moto la macchina fredda, accese lo stereo, voleva riflettere, mise Coltrane. La sua auto un bozzolo caldo e musicale, di lamiera, contro la città agitata dal traffico, quasi fosse un acceleratore di particelle del CERN.

Cosa stava succedendo? D’un tratto una sensazione opprimente, bruttissima la sorprese alla gola, un velo nero scendeva sui suoi occhi, sul suo cuore. La certezza di essersi sbagliata sempre, la certezza di dover fermare quella corsa in macchina, di dover a tutti i costi sapere cosa diavolo stesse succedendo, perché, perché lui la ingannava, la cercava e poi non si faceva trovare, e perché lui s’era trasformato in un demone che turbava i sogni e la veglia.

S’accostò ad un lato della strada, in una piazzola, con le quattro frecce, i bolidi schizzavano alla sua sinistra, imperturbabili, sulla tangenziale. Compose il numero di lui....suonava libero...attese....poi la voce secca di lui.

- Ciao

- Ciao! - rispose lei - Ma allora, Piero, come stai? Cosa ti succede? Mi hai fatto preoccupare davvero stavolta. Tutto bene? Dove sei? Ti ho chiamato milioni di volte ma il tuo telefono era spento poi acceso, dio, una notte da dimenticare...ti prego dimmi!

- si - lui secco come Giuda - sto facendo delle commissioni...-

- Commissioni? Che genere di commissioni? Stai bene? Perché mi hai scritto che stavi male? sono preoccupata per te, che ha la tua salut...

- NO - la interruppe secco lui - non stavo male fisicamente -

- E allora? - chiese lei con il cuore a mille - Cosa?

- Non sono solo - affermò lui

- Con chi sei? - chiese la ragazza - dimmi almeno cosa è successo, davvero, non puoi tenermi così in sospeso, mi fai preoccupare....

- SEI IN VIVAVOCE - esclamò lui.

Dopodiché si sentì un trambusto telefonico, fili, disturbi sonori, voci soffocate e poi una insignificante voce femminile, secca e sottile

- Ciao Ingrid, sono Giovanna, sono la donna di Piero...

- La donna di Piero? in che senso? - il cuore cominciò a battere all’impazzata ormai, non si teneva più. Le gambe molli, tremavano, la sua voce era rotta dall’emozione.

- Si, sono Giovanna, io e Piero stiamo andando a vivere insieme. Anzi, viviamo insieme da una settimana ormai. Piero voleva dirti che è finita tra voi...

- C...Come? C...cosa? Piero? ci sei?

- E’ qui vicino a me Ingrid.

- Ma sei per caso incinta?

- No, non sono incinta.

- E...e quando vi siete conosciuti? Io e Piero stiamo insieme da anni...noi siamo fidanzati...lo sai? - non ci credeva più neanche lei ormai. I ruoli si erano ribaltati di colpo.

- Ora non più Ingrid, non più. Ora Piero sta con me. So che vi siete visti qualche settimana fa, mi ha detto tutto di te, ma so anche che non vi vedete più da tempo e che lui ti ha fatto capire che era finita...

- Ma come ma se...se ci siamo visti l’altro ieri...no, Piero, dille anche tu che...

- Come, come ...vi siete visti l’altro ieri? E che avete fatto? Avete fatto l’amore? Adesso mi dici esattamente cosa è successo !! - Interruppe la voce femminile ostile ed imperiosa.

- No..no...- si corresse Ingrid - volevo dire, l’altro mese...volevo dire....non ricordo. Non le importava più di niente. Il cuore se lo sentiva nero e pesante come una pietra. Le mani le tremavano, la voce, le sue gambe, le lacrime cominciavano a sbocciare sulla rima palpebrale e la gola bruciata, stava per espellere un pianto che tratteneva da troppo, troppo tempo ormai - No....- disse ancora Ingrid - io...io...devo chiudere ora....vi auguro di essere.....felici...devo....devo andare....

Chiuse la comunicazione, non vedeva niente di fronte a sé, solo un grigio vuoto, contornato da raggi gialli e acidi.

Occhi vacui, il pianto che si faceva strada, il cuore che le batteva in petto come il rullo di migliaia di tamburi.

Mise la freccia per rientrare in corsia, in tangenziale, dimenticandosi di togliere le quattro freccie.

Guardò nello specchietto retrovisore: la corsia sembrava libera, si accinse ad entrare nella corsia, prese accelerazione, guardò di nuovo nello specchietto.

Di colpo si rese conto che dalla corsia centrale stava arrivando un grosso camion a tutta velocità, che non aveva visto la freccia di direzione. Si accorse tardi che non aveva tolto le quattro frecce, il camion era diretto verso di lei, non poteva più frenare in tempo ormai. Il camionista urlò dentro il suo mezzo, schiacciò il freno con tutta la forza possibile. Ingrid diede una violentissima sterzata e perse completamente il controllo.

Le vennero in mente immagini senza significato in rapidissima successione, poi non ci fu più niente da fare.

Il camion le venne addosso con tutta la sua massa e la velocità travolse la sua piccola macchina, la carrozza del camion continuò inarrestabile la sua corsa oltre il proprio carrello, tagliando di netto tutta la parte superiore della lamiera dell’auto di Ingrid.

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Giovanna si mise davanti al televisore, guardando Piero, vestita solo di una sottilissima camiciola di seta.

- Dai qua! - disse ridendo e strappandogli dalle mani il telecomando.

Piero era sull’orlo del letto che faceva un po’ di zapping.

Sorrise anche lui, a Giovanna.

- Tesoro! - esclamò vedendola in sottoveste ed eccitandosi.

Giovanna si mise su di lui baciandolo appassionatamente. Fecero l’amore, incuranti del gracchiare del televisore che in sottofondo dava la notizia del terribile incidente mortale di quella mattina, in tangenziale, in cui una giovane donna e altri due sfortunati automobilisti avevano perso la vita.

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